MACERATA - A venticinque anni di distanza dalla prima uscita del 1994, Liberilibri dà alle stampe una nuova edizione riveduta e ampliata delle Lettere a Hawthorne di Herman Melville. Il volume, con testo originale a fronte, è curato oggi come allora da Giuseppe Nori, professore di Lingua e letterature anglo-americane all’Università di Macerata. L’occasione di questa iniziativa è il bicentenario della nascita del grande scrittore, riconosciuto ormai come un “classico” indiscusso della letteratura romantica americana e mondiale, avvenuta a New York il 1° agosto 1819.

Ma c’è di più: il volume inaugura anche gli inesauribili, una nuova serie di titoli già editi, quei classici presenti in diverse collane che non usciranno mai dal catalogo Liberilibri, riproposti in versione economica nel pratico formato paperback, dalla grafica ben riconoscibile: una copertina blu ricoperta di scritte, di colore diverso per ogni “inesauribile”.
In questa seconda edizione dell’opera sono stati principalmente aggiornati e ampliati i riferimenti bibliografici relativi alle opere di Melville e agli studi critici nel nostro Paese, e sono stati apportati alcuni lievi cam¬biamenti nella traduzione e nelle note.

Melville e Hawthorne si incontrano nell’agosto del 1850 in Massachussetts. Hawthorne è già un affermato autore di racconti, e ha pubblicato in quell’anno La lettera scarlatta. einoriAnche Melville, che ha quindici anni in meno, è ormai uno scrittore affermato, con all’attivo ben cinque romanzi di mare. Un mese dopo il loro incontro, Melville lascia New York e si trasferisce con la famiglia nel Berkshire vicino a Hawthorne e da allora, fino al novembre 1851, i rapporti fra i due e le rispettive famiglie saranno strettissimi. Quando Hawthorne lascia il Berkshire, continua comunque a tenersi in contatto con Melville fino alla fine del 1852, ed è in questo periodo che l’epistolario s’interrompe. I due si rivedranno brevemente nel 1856 e nel 1857 in Inghilterra (dove Hawthorne era stato nominato Console degli Stati Uniti), poi non si rivedranno più.

L’epistolario è breve e incompleto perché restano solo le lettere di Melville, non quelle di Hawthorne forse distrutte dallo stesso Melville, ma “costituisce il cuore del loro rapporto” come scrive Nori nell’Introduzione, e “ci permette di ricostruire e mettere a fuoco alcuni fra i momenti più suggestivi delle loro biografie”. Un rapporto incentrato su un momento di profonda comunione intellettuale privata, all’interno di un medesimo processo culturale che li spinge però verso direzioni opposte, seppur comple¬mentari, fino all’estraniamento assoluto.

“Le lettere a Hawthorne sono esercizi spontanei di immedesimazione psicologica in cui Melville usa l’amico come specchio per cercare e definire la propria identità letteraria”, spiega Nori, “rivelano l’aspirazione paradossale dell’artista americano, la sua ricerca incongrua di una scrittura autonoma e profondissima”, e “testimoniano la contorta evoluzione intellettuale di Melville, i tentativi coraggiosi e ironici di articolare i suoi pensieri e mettere ordine nei dedali della mente”.

Esse permettono dunque al lettore di conoscere quell’evoluzione artistico-intellettuale, molto sofferta, che negli anni decisivi del 1851 e 1852 porta Melville alle vette speculative dei suoi due capo¬lavori: Moby-Dick e Pierre.

In Appendice anche alcuni brani dei diari di Melville e di Hawthorne relativi al periodo dei loro ultimi incontri in Inghilterra, una lettera di Melville a Julian Hawthorne (il figlio dello scrittore) del 1883, e alcuni scritti di Julian relativi al suo incontro con Melville a New York in quello stesso anno.

Herman Melville (New York, 1819-1891) a ventisei anni, dopo un’infanzia sofferta e una prima giovinezza «sregolata e avventurosa» di marinaio (nelle note parole di Hawthorne), inizia la sua carriera letteraria. Scrive sette romanzi in sette anni, alternando successi a insuccessi, fino ad alienarsi definitivamente il favore e la stima del pubblico con i suoi capolavori, Moby-Dick (1851) e Pierre (1852), due opere audaci, tanto incomprensibili quanto dissacratorie per i suoi contemporanei. Sull’orlo del disastro letterario ed economico, continua la sua attività narrativa fino al 1857, per poi abbandonare la carriera pubblica di scrittore di prosa e dedicarsi a una lunga e oscura attività di poeta. Muore quasi del tutto dimenticato, lasciando fra le sue carte il manoscritto di Billy Budd, il suo ultimo capolavoro narrativo.

Giuseppe Nori è professore di Lingue e letterature anglo-americane presso l’Università di Macerata. Si è dedicato principalmente ai classici dell’Ottocento: Melville, Hawthorne, Emerson, Bancroft, Whitman e Stephen Crane. Si è inoltre occupato di letteratura e religione nel Seicento e di narrativa e poesia moderniste. Per Liberilibri ha curato l’edizione critica di Cartismo di Thomas Carlyle.