In sede di Corte d’Assise d’Appello ad Ancona tornas in aula la tragica vicenda della strage di Sambucheto, dove in un regolamento di conti tra organizzazioni criminali vennero trucidati nella loro abitazione, era il 1996, Nazareno Carducci, la moglie Giovanna Ascione (incinta di otto mesi), ed il padre di lei, Giovanni Ascione.

A 13 anni da quella notte di sangue, la più efferata che la cronaca nera della regione conosca, vengono rivissute tutte le fasi che hanno portato al drammatico epilogo di una faida tra malavitosi.

Il primo grado la Corte d’Assise di Macerata aveva condannato all’ergastolo per il triplice delitto Gianfranco Schiavi, detto “il mastino”, ritenuto il mandante della strage, il figlio Marco e Salvatore GIovinazzo, questi due dichiarati esecutori materiali. Ad un altro figlio dello Schiavi, Massimiliano, erano stati comminati 9 ani di reclusione (estorsione ed occultamento di armi).

Il processo ha coinvolto anche altre persone, assolte per insuffcienza di prove, accusate a vario titolo di estorsione e minacce.

Il Tribunale di Macerata a suo tempo sancì che la strage era il frutto di una guerra fra clan scaturita per il controllo del territorio ed il Carducci si rivelava un ostacolo. La corte ha sentenziato che la famiglia Carducci venne sterminata a colpi di mitraglietta all’interno del loro casolare sul rettilineo di Fontenoce da Giovinazzo mentre Marco Schiavi finì le vittime con un colpo alla nuca. Massimiliano Schiavi invece nascose le armi all’interno della stazione carabinieri di Porto Recanati con la complicità del locale comandante di stazione, maresciallo Monticane, poi arrestato, nel frattempo deceduto.